DANTE ALIGHIERI (Firenze 1265 - Ravenna 1321) scrittore italiano.
LA VITA E LE OPERE. Figlio di Alighiero II degli Alighieri e di Bella, Dante appartaneva a una famiglia della piccola nobilta' guelfa fiorentina, di scarse risorse economiche. Cio' non gli impedi', in giovinezza, di frequentare la vita elegante e «cortese» della citta' e di attendere a buoni studi, come quelli di arte retorica intrapresi,
anche se non proprio nei termini di un rapporto maestro-discepolo, sotto la guida di Brunetto Latini. Soltanto a se stesso, invece, Dante rivendica l'apprendistato poetico, grazie al quale si lego' d'amicizia con quei poeti stilnovistici che condividevano il suo ideale di vita raffinato e aristocratico, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e, piu' tardi, Cino da Pistoia. Nel 1285 sposò Gemma di Manetto Donati, con cui era fidanzato per volonta’ paterna fin dal 1277 e da cui ebbe tre o quattro figli (Iacopo, Pietro, Antonia e forse un Giovanni). Dante Alighieri
Al 1274 risale il suo primo incontro con Beatrice, il cui vero nome era Bice di Folco Portinari, sposatasi poi a Simone de' Bardi e morta nel 1290. Di questo amore, cantato nelle Rime e nella Vita nuova con sublimazione stilnovistica, pochi sono i fatti accertati: sembra però che la morte di Beatrice lo abbia gettato in una profonda crisi religiosa e che da questa si sia risollevato dedicandosi agli studi, in particolare a quelli filosofico-teologici. Il travaglio speculativo che ne seguì, oltre a rafforzare la sua cultura, lo guidò a un culto appassionato della verità e della giustizia, che si tradusse eticamente in una decisa coscienza politica. Trascorso qualche mese a Bologna (1287), dopo aver preso parte (1289) alla battaglia di Campaldino contro i ghibellini d'Arezzo e, poco dopo, al vittorioso assalto al castello pisano di Caprona, dal 1295 Dante partecipò attivamente alla vita politica fiorentina, iscrivendosi alla corporazione dei medici e degli speziali (in seguito agli ordinamenti di Giano della Bella, iscriversi a una corporazione era l'unico mezzo consentito ai nobili non magnati di prendere parte al governo del comune). Firenze era allora teatro e insieme vittima di feroci lotte tra due fazioni guelfe: i Bianchi, che perseguivano una politica di autonomia e che erano capeggiati dalla famiglia dei Cerchi, e i Neri, legati da interessi mercantili
al papato e guidati dalla famiglia
dei Donati. Per quanto Dante
si sforzasse di restare al di
sopra della mischia, le manovre di papa Bonifacio VIII lo spinsero a schierarsi con i Bianchi. Nell’ottobre del 1301, infatti, il papa inviava a Firenze Carlo di Valois, col falso scopo di paciere, in realtà per debellare definitivamente i Bianchi. Dante, che da pochi mesi faceva parte del consiglio dei Cento e l'anno precedente era stato priore di Firenze, fu inviato insieme a due altri ambasciatori presso Bonifacio VIII nel tentativo di placarlo (secondo altre ricostruzioni però Dante sarebbe stato ambasciatore a Roma nel 1300 (l’anno del giubileo). Mentre si trovava si trovava a Roma dal pontefice, Corso Donati e i Neri si impadronivano di Firenze e iniziavano una feroce repressione degli avversari politici. Accusato di baratteria, concussione e opposizione al papa e a Carlo di Valois, mentre era a Roma (o, secondo altri, a Siena o già a Firenze) Dante fu invitato a discolparsi, ma sdegnosamente rifiutò di presentarsi ai suoi giudici. Il 10 marzo del 1302 gli furono confiscati i beni, mentre la multa e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, inflittegli precedentemente (18 e 27 gennaio), furono commutate in condanna al rogo. Nei primi tempi dell’esilio Dante cercò di collegarsi, con gli altri Bianchi, ai fuoriusciti ghibellini, ma disgustato poi dall'inconcludenza dei suoi compagni, si isolò, rassegnato a cercare una decorosa sistemazione per sé e per la famiglia presso le corti dell'Italia settentrionale. Dopo essere stato a Forlì come ambasciatore dei Bianchi alla corte di Scarpetta degli Ordelaffi, fu a Verona, presso Bartolomeo della Scala, e ad Arezzo nel 1304, quando il cardinale Niccolò da Prato sembrava poter risollevare le sorti dei Bianchi; poi nel trevigiano, da Gherardo da Camino e, nel 1306, in Lunigiana, alla corte dei Malaspina. Suggestivi i riferimenti di Boccaccio e di G. Villani a un soggiorno parigino di Dante, intorno agli 1309-10, che però a tutt'oggi non sono suffragati da alcun riscontro documentario. Sono anni di intenso lavoro: oltre alla Commedia, scrive il Convivio e il De vulgari eloquentia. Nel 1310 con la discesa in Italia di Arrigo VII, imperatore del Sacro Romano Impero, si riaccende nel poeta la speranza di tornare a Firenze. Lo attestano le epistole che Dante scrive a vari principi italiani, per esortarli ad accogliere colui che, a giudizio suo, avrebbe pacificato la penisola dilaniata da guerre fratricide. Ma nel 1313, dopo aver assediato invano Firenze per più di un mese, Arrigo VII muore improvvisamente a Buonconvento e con lui si spegne la speranza dell'esule. Verso il 1315 o, più probabilmente, già dalla metà del 1313, Dante fu ospite di Cangrande della Scala, presso cui si trattenne fino al 1318 o al 1320. Si ignorano i motivi che lo spinsero poi a lasciare Verona per Ravenna, dove fu ospite di Guido Novello da Polenta e dove, in seguito a una malattia contratta di ritorno da un'ambasceria a Venezia, morì tra il 13 e il 14 settembre del 1321.
LE OPERE MINORI. Secondo parte della critica più recente, le prime fatiche letterarie di Dante sarebbero il Fiore (un poemetto anepigrafo così intitolato dal primo editore e che, all'interno della tradizione “comica” si presenta come una parafrasi in 232 sonetti delle narrative del Roman de la Rose), e il Detto d’amore (poemetto didattico anch'esso anepigrafo in distici di settenari in volgare di cui restano solo 48 versi e che segnerebbe il momento di transizione dai modelli lirici tradizionali al nuovo credo guinizzelliano). La prima opera certa resta comunque la Vita nuova (1292-93 o, più probabilmente, 1294), un “prosimetro” che alterna 31 liriche (25 sonetti, 4 canzoni, 1 ballata, 1 stanza di canzone) e 42 capitoli in prosa poetica, cui è affidata la duplice funzione di svolgere l'itinerario autobiografico da cui nascono i versi e di commentarli retoricamente. L’esile vicenda s’incentra intorno a un'esperienza d'amore idealizzata, quella del poeta per Beatrice, che Dante racconta d'aver incontrato per la ma prima volta a nove anni e d’aver rivisto soltanto nove anni dopo, quando, salutandolo, l'aveva lasciato smagato e confuso. Da questi incontri si snoda l’intimo memoriale, dapprima profano e “cortese”, poi sempre più pervaso di misticismo (con la relativa acquisizione di moduli agiografici), finché la morte di Beatrice non trasforma l’amata e quell’amore in mito cristiano, in Amore assoluto e mezzo di elevazione. L’opera che oltre tutto contiene alcune tra le più belle liriche del poeta (da Donne ch’avete intelletto d’amore al sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare) segna già un netto distacco dalla scuola dello stilnovo, sia per il fervore religioso che la anima (e che anticipa la Commedia) sia per la padronanza espressiva da cui è sorretta nonostante i manierismi retorici della scuola. La sua interpretazione non è stata ne è tuttora univoca: essa ha oscillato tra la ricerca di corrispondenze opera-vita e la lettura in chiave squisitamente esoterica; ancora, c’è ancora chi tende a privilegiarne l'aspetto agiografico e chi invece ne mette in risalto soprattutto gli esiti poetico-letterari. Con essa comunque Dante corona e conclude quell’esperienza stilnovistica della quale sono pure parte integrante 25 liriche non incluse nell'operetta. Per queste e per tutte le esperienze succedanee allo stilnovismo, che Dante non pensò di raccogliere in un corpus unitario, oggi si preferisce parlare di Rime e non più di Canzoniere. Nel loro complesso esse si possono disporre in 7 libri ordinati secondo un criterio cronologico e comprendenti, rispettivamente, quelle raccolte nella Vita nuova; quelle coeve alla Vita nuova e non incluse in essa; i tre sonetti della tenzone con Forese Donati, con le concessioni al burlesco e all'osceno proprie dello stile comico; le canzoni del Convivio e i componimenti allegorici o dottrinali; altre liriche amorose o di corrispondenza successive alla Vita nuova; le rime «petrose» (per una donna detta Petra per la durezza del suo cuore), caratterizzate da uno stile aspro e raffinato, che Dante stesso riconduce ad Arnaut Daniel e che raggiunge vertici di straordinario vigore espressivo, come nella canzone Così nel mio parlar voglio esser aspro e nella sestina Amor, tu vedi ben che questa donna; le liriche composte successivamente all'esilio (famosissima la canzone allegorica Tre donne intorno al cor mi son venute). Il Convivio, scritto tra il 1304 e il 1307, è un opera in volgare di alta divulgazione dottrinaria, che avrebbe dovuto essere composta di 15 trattati, uno di introduzione generale e gli altri di commento ad altrettante canzoni composte precedentemente all'esilio. In realtà Dante scrisse soltanto i primi 4, quello introduttivo e i seguenti che, chiosando rispettivamente le canzoni Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete, Amor che ne la mente mi ragiona e Le dolci rime d'amor ch'i' solia, trattano delle gerarchie angeliche, dei rami della scienza e della filosofia (come via alla realizzazione dell'uomo e perciò alla sua felicità), della nobiltà come conquista, intellettuale e morale, del singolo individuo. Scopo dichiarato del libro è quello di difendersi dalle accuse che si erano accompagnate alla condanna (in ciò richiamandosi espressamente alle vicissitudini di Boezio e prendendo a modello le Confessioni di Sant'Agostino), ma soprattutto di render partecipi alla "Beata mensa” della cultura e della scienza antica e contemporanea anche coloro che per motivi familiari e civili ne fossero stati esclusi. Rivolgendosi, quindi, non soltanto ai dotti e ai religiosi, ma al pubblico più vasto degli uomini civilmente impegnati e assetati di sapere, Dante scrive profeticamente in volgare di argomenti scientifici e filosofici di solito trattati in latino, ed esalta il nuovo mezzo espressivo. |