Riassunto |
Il canto undicesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge sull'orlo del sesto cerchio, ove sono puniti gli eretici; siamo all'alba del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.
Questo canto è il più breve di tutta la Divina Commedia ed è un canto dottrinale dove si spiega la gerarchia dei peccati e la loro dislocazione nell'Inferno, ma, nonostante l'argomento privo di azione, anche qui la costruzione poetica di Dante si manifesta in tutta la sua ricchezza.
Sul margine interno del sesto cerchio, al riparo della tomba infuocata di un seguace dell’eresia monofisita (Anastasio II), i due viandanti sono costretti, a causa dell’orribile odore che si sprigiona dal baratro aperto al loro piedi, ad una sosta forzata. Virgilio ne approfitta per spiegare al suo discepolo l’ordinamento dei tre cerchi infernali che deve ancora visitare ( i due pellegrini si fermano e Virgilio spiega a Dante quali anime incontreranno nei prossimi cerchi ). Nel settimo cerchio (diviso in tre gironi) sono puniti i peccatori per violenza contro il prossimo, contro se stessi e contro Dio. Nell’ottavo e nel nono quelli che si sono serviti della frode propriamente detta (contro chi non si fida) e del tradimento (frode contro chi si fida) per raggiungere i loro fini. |
Parafrasi |
In su l'estremità d'un'alta ripa che facevan gran pietre rotte in cerchio venimmo sopra più crudele stipa; |
Sull’orlo di un alto pendio, formato da grandi macigni spaccati disposti circolarmente, Giungemmo al di sopra di una folla sottoposta a più dolorosi tormenti; |
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e quivi, per l'orribile soperchio del puzzo che 'l profondo abisso gitta, ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio |
e qui per lo spaventoso insopportabile fetore che esala il basso inferno, cercammo riparo dietro il coperchio |
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d'un grand'avello, ov'io vidi una scritta che dicea: "Anastasio papa guardo, lo qual trasse Fotin de la via dritta". |
di una grande tomba, sulla quale vidi la seguente iscrizione: "Custodisco papa Anastasio, che Fotino allontanò dalla giusta strada". |
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«Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s'ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo». |
"Occorre che la nostra discesa sia ritardata, in modo che prima il nostro olfatto si abitui un poco alla pestifera esalazione; dopo non dovremo più prendere, riguardo ad essa, alcuna precauzione." |
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Così 'l maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che 'l tempo non passi
perduto». Ed elli: «Vedi ch'a ciò penso». |
Così parlò Virgilio; e io gli dissi: "Trova un compenso (alla nostra sosta), in modo che il tempo non scorra inutilmente ". E Virgilio: " E’ proprio ciò a cui sto pensando ". |
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«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi», cominciò poi a dir, «son tre cerchietti di grado in grado, come que' che lassi. |
" Figliolo, all’interno di questa riva pietrosa " prese poi a dire " si trovano tre cerchi piccoli, (rispetto ai precedenti), digradanti come quelli dai quali sei uscito. |
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Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti.
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Sono tutti pieni di anime dannate; ma perché poi ti sia sufficiente soltanto vederle (senza più bisogno di spiegazioni), odi in che modo e per quale motivo si trovano in essi stipate. |
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D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista,
ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista.
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Ma perché frode è de l'uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale. |
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Di violenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto. |
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A Dio, a sé, al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
come udirai con aperta ragione.
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Morte per forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno, e nel suo avere
ruine, incendi e tollette dannose;
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onde omicide e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
lo giron primo per diverse schiere.
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Puote omo avere in sé man violenta
e ne' suoi beni; e però nel secondo
giron convien che sanza pro si penta
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qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov'esser de' giocondo.
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Puossi far forza nella deitade,
col cor negando e bestemmiando quella,
e spregiando natura e sua bontade;
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e però lo minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella.
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La frode, ond'ogne coscienza è morsa,
può l'omo usare in colui che 'n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa.
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Questo modo di retro par ch'incida
pur lo vinco d'amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s'annida
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ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura.
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Per l'altro modo quell'amor s'oblia
che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,
di che la fede spezial si cria;
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onde nel cerchio minore, ov'è 'l punto
de l'universo in su che Dite siede,
qualunque trade in etterno è consunto».
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E io: «Maestro, assai chiara procede
la tua ragione, e assai ben distingue
questo baràtro e 'l popol ch'e' possiede.
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Ma dimmi: quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
e che s'incontran con sì aspre lingue,
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perché non dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?».
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Ed elli a me «Perché tanto delira»,
disse «lo 'ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira?
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Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che 'l ciel non vole,
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incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta?
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Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
che sù di fuor sostegnon penitenza,
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tu vedrai ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
la divina vendetta li martelli».
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«O sol che sani ogni vista turbata,
tu mi contenti sì quando tu solvi,
che, non men che saver, dubbiar m'aggrata.
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Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,
diss'io, «là dove di' ch'usura offende
la divina bontade, e 'l groppo solvi».
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«Filosofia», mi disse, «a chi la 'ntende,
nota, non pure in una sola parte,
come natura lo suo corso prende
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dal divino 'ntelletto e da sua arte;
e se tu ben la tua Fisica note,
tu troverai, non dopo molte carte,
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che l'arte vostra quella, quanto pote,
segue, come 'l maestro fa 'l discente;
sì che vostr'arte a Dio quasi è nepote.
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Da queste due, se tu ti rechi a mente
lo Genesì dal principio, convene
prender sua vita e avanzar la gente;
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e perché l'usuriere altra via tene,
per sé natura e per la sua seguace
dispregia, poi ch'in altro pon la spene.
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Ma seguimi oramai, che 'l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l'orizzonta,
e 'l Carro tutto sovra 'l Coro giace,
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e 'l balzo via là oltra si dismonta». |
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Commento |
Il Canto è una sorta di pausa nella narrazione del viaggio, che ha la funzione di preparare la discesa nei Cerchi del basso Inferno e spiegare al lettore la topografia morale di tutto il primo regno, fin qui non esplicitamente illustrata dall'autore. A questo scopo Dante ricorre all'espediente dell'odore sgradevole che si leva dal VII Cerchio e costringe lui e Virgilio ad attendere un poco prima di proseguire il cammino, una sosta forzata che dà modo alla guida di spiegare com'è strutturato il doloroso regno.
La spiegazione di Virgilio prende ovviamente spunto dalla filosofia aristotelica (Eth., VII, 1, 1145a), ampiamente ripresa dalla teologia medievale e che distingueva tre principali peccati: di eccesso, di violenza e di frode, che sono di gravità crescente e quindi puniti nelle zone infernali che via via si avvicinano al centro della Terra (violenza e frode sono comprese nel peccato di malizia, ovvero azione tesa ad arrecare offesa al prossimo, più grave dell'eccesso e perciò punita nei cerchi del basso Inferno). Nella classificazione di Virgilio mancano gli ignavi, le anime del Limbo e soprattutto gli eretici, il cui peccato sembra non rientrare propriamente in nessuna delle tre categorie menzionate prima; sono state avanzate numerose ipotesi al riguardo e nessuna pienamente convincente, tranne forse quella che identifica questo peccato in una categoria a sé stante. Piuttosto controversa anche l'interpretazione della matta bestialitade, che potrebbe significare «violenza», oppure «eresia», o forse indicare un altro tipo di peccato non rientrante nella topografia morale dell'Inferno.
Particolare rilievo viene poi dato al peccato d'usura, ulteriormente chiarito da Virgilio a seguito della domanda di Dante. |