Riassunto |
Il canto sedicesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nel terzo girone del settimo cerchio, ove sono puniti i violenti contro Dio, natura e arte; siamo all'alba del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.
Mentre i due pellegrini continuano a camminare sull’argine del fiumicello, da una schiera di sodomiti si staccano tre ombre e corrono verso di loro. Poiché ai violenti contro natura non è concesso neppure un attimo di sosta, questi dannati si dispongono in cerchio, in modo da continuare a camminare senza allontanarsi da Dante e Virgilio. Uno di loro, Jacopo Rusticucci, si rivolge al Poeta, parlando di sé e dei suoi compagni, Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi. Furono cittadini illustri di Firenze e contribuirono, in pace e in guerra alla prosperità della loro patria. Dante esprime il proprio dolore per averli incontrati fra i reprobi del settimo cerchio e il profondo rispetto che nutre per la loro memoria; poi dichiara che in Firenze non albergano più le virtù di un tempo: orgoglio e intemperanza hanno sostituito, nel cuore dei suoi abitanti, cortesia e valore. Dileguatisi i tre, Dante prosegue con il maestro verso l’orlo del ripiano, dove le acque del Flegetonte precipitano nel cerchio ottavo. Il Poeta consegna una corda che gli cinge i fianchi a Virgilio, il quale la getta nel profondo abisso che si apre ai loro piedi. |
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Parafrasi |
Già era in loco onde s'udìa 'l rimbombo de l'acqua che cadea ne l'altro giro, simile a quel che l'arnie fanno rombo, |
Mi trovavo già in un luogo dal quale si udiva il fragore dell’acqua (del fiumicello) che precipitava nel cerchio seguente, simile a quel ronzio cupo che producono gli alveari, |
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quando tre ombre insieme si partiro, correndo, d'una torma che passava sotto la pioggia de l'aspro martiro. |
allorché tre ombre si staccarono contemporaneamente, correndo, da una schiera che passava sotto la pioggia del crudele supplizio. |
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Venian ver noi, e ciascuna gridava: «Sòstati tu ch'a l'abito ne sembri esser alcun di nostra terra prava». |
Venivano verso di noi, e ciascuna gridava: "Fermati tu che dall’abito ci sembri essere uno della nostra città malvagia". |
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Ahimè, che piaghe vidi ne' lor membri ricenti e vecchie, da le fiamme incese! Ancor men duol pur ch'i' me ne rimembri. |
Ahimè, quali ferite recenti e antiche, aperte dalle fiamme, vidi nelle loro membra! Ne provo ancora dolore soltanto a ricordarmene. |
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A le lor grida il mio dottor s'attese; volse 'l viso ver me, e: «Or aspetta», disse «a costor si vuole esser cortese. |
Alle loro grida Virgilio fermò la propria attenzione; volse il viso verso di me, e disse: " Aspetta: bisogna essere cortesi con costoro. |
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E se non fosse il foco che saetta la natura del loco, i' dicerei che meglio stesse a te che a lor la fretta». |
E se non fosse per le fiamme che la natura del luogo scaglia, direi che converrebbe a te più che a loro l’affrettarsi". |
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Ricominciar, come noi restammo, ei
l'antico verso; e quando a noi fuor giunti, fenno una rota di sé tutti e trei.
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Non appena ci fummo fermati, essi ripresero (a muoversi) nel solito modo; e quando furono giunti presso di noi, si disposero in cerchio tutti e tre, |
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Qual sogliono i campion far nudi e unti, avvisando lor presa e lor vantaggio, prima che sien tra lor battuti e punti,
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Parafrasi: |
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così rotando, ciascuno il visaggio drizzava a me, sì che 'n contraro il collo faceva ai piè continuo viaggio.
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Parafrasi: |
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E «Se miseria d'esto loco sollo
rende in dispetto noi e nostri prieghi», cominciò l'uno «e 'l tinto aspetto e brollo,
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Parafrasi: |
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la fama nostra il tuo animo pieghi a dirne chi tu se', che i vivi piedi così sicuro per lo 'nferno freghi.
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Parafrasi: |
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Questi, l'orme di cui pestar mi vedi, tutto che nudo e dipelato vada, fu di grado maggior che tu non credi:
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Parafrasi: |
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nepote fu de la buona Gualdrada; Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita fece col senno assai e con la spada.
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Parafrasi: |
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L'altro, ch'appresso me la rena trita, è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce nel mondo sù dovrìa esser gradita.
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Parafrasi: |
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E io, che posto son con loro in croce, Iacopo Rusticucci fui; e certo la fiera moglie più ch'altro mi nuoce».
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Parafrasi: |
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S'i' fossi stato dal foco coperto, gittato mi sarei tra lor di sotto, e credo che 'l dottor l'avrìa sofferto;
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Parafrasi: |
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Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia la vostra condizion dentro mi fisse, tanta che tardi tutta si dispoglia,
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Parafrasi: |
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tosto che questo mio segnor mi disse parole per le quali i' mi pensai che qual voi siete, tal gente venisse.
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Parafrasi: |
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Di vostra terra sono, e sempre mai l'ovra di voi e li onorati nomi con affezion ritrassi e ascoltai.
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Parafrasi: |
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Lascio lo fele e vo per dolci pomi promessi a me per lo verace duca; ma 'nfino al centro pria convien ch'i' tomi».
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Parafrasi: |
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«Se lungamente l'anima conduca le membra tue», rispuose quelli ancora, «e se la fama tua dopo te luca,
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Parafrasi: |
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cortesia e valor dì se dimora
ne la nostra città sì come suole, o se del tutto se n'è gita fora;
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Parafrasi: |
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ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole
con noi per poco e va là coi compagni, assai ne cruccia con le sue parole».
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Parafrasi: |
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«La gente nuova e i sùbiti guadagni orgoglio e dismisura han generata, Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni».
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Parafrasi: |
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Così gridai con la faccia levata; e i tre, che ciò inteser per risposta, guardar l'un l'altro com'al ver si guata.
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Parafrasi: |
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«Se l'altre volte sì poco ti costa», rispuoser tutti «il satisfare altrui, felice te se sì parli a tua posta!
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Parafrasi: |
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«Però, se campi d'esti luoghi bui e torni a riveder le belle stelle, quando ti gioverà dicere "I' fui",
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Parafrasi: |
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fa che di noi a la gente favelle». Indi rupper la rota, e a fuggirsi ali sembiar le gambe loro isnelle.
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Un amen non saria potuto dirsi tosto così com'e' fuoro spariti; per ch'al maestro parve di partirsi.
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Io lo seguiva, e poco eravam iti, che 'l suon de l'acqua n'era sì vicino, che per parlar saremmo a pena uditi.
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Parafrasi: |
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Come quel fiume c'ha proprio cammino prima dal Monte Viso 'nver' levante, da la sinistra costa d'Apennino,
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che si chiama Acquacheta suso, avante che si divalli giù nel basso letto, e a Forlì di quel nome è vacante,
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rimbomba là sovra San Benedetto de l'Alpe per cadere ad una scesa ove dovea per mille esser recetto;
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così, giù d'una ripa discoscesa, trovammo risonar quell'acqua tinta, sì che 'n poc'ora avria l'orecchia offesa.
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Parafrasi: |
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Io avea una corda intorno cinta, e con essa pensai alcuna volta prender la lonza a la pelle dipinta.
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Poscia ch'io l'ebbi tutta da me sciolta, sì come 'l duca m'avea comandato, porsila a lui aggroppata e ravvolta.
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Ond'ei si volse inver' lo destro lato, e alquanto di lunge da la sponda la gittò giuso in quell'alto burrato.
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'E' pur convien che novità risponda' dicea fra me medesmo 'al novo cenno che 'l maestro con l'occhio sì seconda'.
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Parafrasi: |
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Ahi quanto cauti li uomini esser dienno presso a color che non veggion pur l'ovra, ma per entro i pensier miran col senno!
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El disse a me: «Tosto verrà di sovra ciò ch'io attendo e che il tuo pensier sogna: tosto convien ch'al tuo viso si scovra».
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Sempre a quel ver c'ha faccia di menzogna de' l'uom chiuder le labbra fin ch'el puote, però che sanza colpa fa vergogna;
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ma qui tacer nol posso; e per le note di questa comedìa, lettor, ti giuro, s'elle non sien di lunga grazia vòte,
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ch'i' vidi per quell'aere grosso e scuro venir notando una figura in suso, maravigliosa ad ogne cor sicuro,
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sì come torna colui che va giuso talora a solver l'àncora ch'aggrappa o scoglio o altro che nel mare è chiuso,
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che 'n sù si stende, e da piè si rattrappa.
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Commento |
Il Canto, strutturalmente diviso in due parti, è dedicato rispettivamente al colloquio coi tre Fiorentini e al preannuncio dell'arrivo di Gerione, che pure non viene direttamente nominato. La prima parte, più ampia, prosegue idealmente il discorso iniziato col Canto precedente, in quanto anche i tre sodomiti che si staccano dalla loro schiera e si fanno incontro a Dante sono di Firenze e, in modo simile a Brunetto Latini, si sono fatti onore in vita con le loro azioni politiche improntate alla giustizia. È Virgilio stesso a suggerire a Dante di fermarsi, affermando che i tre sono personaggi di riguardo e che la fretta si addice più a lui che a loro (l'allusione è al fatto che chi corre ha un aspetto poco dignitoso: cfr. Purg., III, 10-11).
Non sappiamo quale sia la schiera cui appartengono i tre (forse quella degli uomini politici, anche se Dante non lo esplicita), che iniziano a parlare con Dante girando in tondo e il cui aspetto reca i segni di piaghe vecchie e nuove causate dalla pioggia di fuoco. La dannazione di due di loro, Tegghiaio e Iacopo Rusticucci, era già stata preannunciata da Ciacco nel Canto VI, mentre qui si aggiunge Guido Guerra: i tre sono un esempio di uomini dignitosi e onorevoli in vita, ch'a ben far puoser li 'ngegni, ma la cui condotta peccaminosa condanna alla dannazione come già Farinata e Cavalcante. L'incontro dà modo poi a Dante di aprire una breve ma amara riflessione sull'attuale condizione della patria comune: alla domanda dei tre se sia vero che a Firenze non albergano più cortesia e valor, Dante risponde sconsolato che ciò è vero e ne attribuisce la causa alla gente nova e i sùbiti guadagni, punta cioè il dito contro i nuovi fiorentini inurbatisi dal contado e facilmente arricchitisi grazie al commercio e all'usura. Dante riconduce la decadenza di Firenze alla perdita di valori come cavalleria e cortesia, che caratterizzavano l'antica nobiltà feudale cui lui stesso affermava di appartenere e che sono in forte contrasto con la sete di denaro e l'avarizia della nuova borghesia. |