Riassunto |
Il canto diciottesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella prima e nella seconda bolgia dell'ottavo cerchio, ove sono puniti rispettivamente i ruffiani e seduttori e gli adulatori; siamo nel mattino del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.
Con questo canto inizia la seconda metà della cantica infernale. Curiosamente l'Inferno è distinto in due metà di 17 canti, in ciascuna delle quali compaiono 13 categorie di dannati: due numeri particolarmente sinistri e legati a superstizioni; in questa seconda parte sono trattati i fraudolenti (che si suddividono in ingannatori e in traditori) cioè coloro che usarono l'intelligenza e la ragione per fini malvagi. Scesi dalla groppa di Gerione, i due pellegrini si trovano sull’argine più esterno dell’ottavo cerchio, detto Malebolge e diviso in dieci avvallamenti concentrici. Nel primo di questi avvallamenti o bolge sono puniti i seduttori per conto altrui e quelli per conto proprio. Divisi in due gruppi avanzano in direzioni opposte, implacabilmente frustati dal diavolo. Nella schiera dei ruffiani Dante riconosce il bolognese, Venedico Caccianemico, che indusse con discorsi fraudolenti la propria sorella ad una condotta disonesta, e lo costringe a confessare la sua colpa. Tra i seduttori per conto proprio Virgilio gli addita Giasone; il leggendario eroe, colpevole nei confronti dell’inesperta Isifile e di Medea, entrambe da lui tratte in inganno, incede incurante delle sferzate dei diavoli, con atteggiamento regale, senza manifestare il suo dolore.
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Parafrasi |
Luogo è in inferno detto Malebolge, tutto di pietra di color ferrigno, come la cerchia che dintorno il volge.
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Vi è nell’inferno un luogo chiamato Malebolge, fatto interamente di una pietra del colore del ferro, come la parete rocciosa che tutt’intorno lo circonda. |
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Nel dritto mezzo del campo maligno vaneggia un pozzo assai largo e profondo, di cui suo loco dicerò l'ordigno. |
Proprio nel centro di questo piano malvagio si apre un pozzo molto largo e profondo, del quale descriverò la struttura quando sarà il momento. |
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Quel cinghio che rimane adunque è tondo tra 'l pozzo e 'l piè de l'alta ripa dura, e ha distinto in dieci valli il fondo. |
Quella fascia che resta tra il pozzo e la base dell’alta parete rocciosa è pertanto circolare, e ha la superficie suddivisa in dieci avvallamenti. |
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Quale, dove per guardia de le mura più e più fossi cingon li castelli, la parte dove son rende figura, |
Quale aspetto presenta, dove numerosi fossati circondano i castelli, per proteggerne le mura, il luogo in cui questi si trovano, |
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tale imagine quivi facean quelli; e come a tai fortezze da' lor sogli a la ripa di fuor son ponticelli, |
tale figura offrivano lì quegli avvallamenti e come tali fortezze hanno dalle loro soglie fino alla riva esterna dell’ultimo fossato dei piccoli ponti, |
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così da imo de la roccia scogli movien che ricidien li argini e ' fossi infino al pozzo che i tronca e raccogli. |
così dalla base della parete partivano ponti di pietra che attraversavano gli argini e i fossati fino al pozzo che li interrompe e nel quale convergono. |
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In questo luogo, de la schiena scossi di Gerion, trovammoci; e 'l poeta tenne a sinistra, e io dietro mi mossi. |
In questo luogo ci venimmo a trovare, scesi dal dorso di Gerione; e Virgilio si diresse verso sinistra, e io mi avviai dietro di lui. |
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A la man destra vidi nova pieta, novo tormento e novi frustatori, di che la prima bolgia era repleta. |
Vidi verso destra nuovo dolore, pene mai prima vedute e fustigatori di nuovo genere, di cui il primo avvallamento era pieno. |
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Nel fondo erano ignudi i peccatori; dal mezzo in qua ci venien verso 'l volto, di là con noi, ma con passi maggiori,
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Parafrasi: |
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come i Roman per l'essercito molto, l'anno del giubileo, su per lo ponte hanno a passar la gente modo colto,
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Parafrasi: |
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che da l'un lato tutti hanno la fronte verso 'l castello e vanno a Santo Pietro; da l'altra sponda vanno verso 'l monte.
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Parafrasi: |
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Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battien crudelmente di retro.
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Parafrasi: |
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Ahi come facean lor levar le berze a le prime percosse! già nessuno le seconde aspettava né le terze.
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Parafrasi: |
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Mentr'io andava, li occhi miei in uno furo scontrati; e io sì tosto dissi: «Già di veder costui non son digiuno».
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Parafrasi: |
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Per ch'io a figurarlo i piedi affissi; e 'l dolce duca meco si ristette, e assentio ch'alquanto in dietro gissi.
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Parafrasi: |
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E quel frustato celar si credette bassando 'l viso; ma poco li valse, ch'io dissi: «O tu che l'occhio a terra gette,
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Parafrasi: |
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se le fazion che porti non son false, Venedico se' tu Caccianemico. Ma che ti mena a sì pungenti salse?».
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Parafrasi: |
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Ed elli a me: «Mal volentier lo dico; ma sforzami la tua chiara favella, che mi fa sovvenir del mondo antico.
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Parafrasi: |
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I' fui colui che la Ghisolabella condussi a far la voglia del marchese, come che suoni la sconcia novella.
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Parafrasi: |
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E non pur io qui piango bolognese; anzi n'è questo luogo tanto pieno, che tante lingue non son ora apprese
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Parafrasi: |
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a dicer 'sipa' tra Sàvena e Reno; e se di ciò vuoi fede o testimonio, rècati a mente il nostro avaro seno».
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Parafrasi: |
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Così parlando il percosse un demonio de la sua scuriada, e disse: «Via, ruffian! qui non son femmine da conio».
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Parafrasi: |
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I' mi raggiunsi con la scorta mia; poscia con pochi passi divenimmo là 'v'uno scoglio de la ripa uscia.
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Parafrasi: |
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Assai leggeramente quel salimmo; e vòlti a destra su per la sua scheggia, da quelle cerchie etterne ci partimmo.
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Parafrasi: |
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Quando noi fummo là dov'el vaneggia di sotto per dar passo a li sferzati, lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia
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Parafrasi: |
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lo viso in te di quest'altri mal nati, ai quali ancor non vedesti la faccia però che son con noi insieme andati».
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Parafrasi: |
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Del vecchio ponte guardavam la traccia che venìa verso noi da l'altra banda, e che la ferza similmente scaccia.
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Parafrasi: |
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E 'l buon maestro, sanza mia dimanda, mi disse: «Guarda quel grande che vene, e per dolor non par lagrime spanda:
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Parafrasi: |
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quanto aspetto reale ancor ritene! Quelli è Iasón, che per cuore e per senno li Colchi del monton privati féne.
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Parafrasi: |
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Ello passò per l'isola di Lenno, poi che l'ardite femmine spietate tutti li maschi loro a morte dienno.
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Parafrasi: |
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Ivi con segni e con parole ornate Isifile ingannò, la giovinetta che prima avea tutte l'altre ingannate.
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Parafrasi: |
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Lasciolla quivi, gravida, soletta; tal colpa a tal martiro lui condanna; e anche di Medea si fa vendetta.
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Parafrasi: |
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Con lui sen va chi da tal parte inganna: e questo basti de la prima valle sapere e di color che 'n sé assanna».
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Già eravam là 've lo stretto calle con l'argine secondo s'incrocicchia, e fa di quello ad un altr'arco spalle.
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Quindi sentimmo gente che si nicchia ne l'altra bolgia e che col muso scuffa, e sé medesma con le palme picchia.
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Parafrasi: |
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Le ripe eran grommate d'una muffa, per l'alito di giù che vi s'appasta, che con li occhi e col naso facea zuffa.
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Lo fondo è cupo sì, che non ci basta loco a veder sanza montare al dosso de l'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
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Parafrasi: |
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Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso vidi gente attuffata in uno sterco che da li uman privadi parea mosso.
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Parafrasi: |
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E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco, vidi un col capo sì di merda lordo, che non parea s'era laico o cherco.
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Parafrasi: |
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Quei mi sgridò: «Perché se' tu sì gordo di riguardar più me che li altri brutti?». E io a lui: «Perché, se ben ricordo,
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già t'ho veduto coi capelli asciutti, e se' Alessio Interminei da Lucca: però t'adocchio più che li altri tutti».
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Ed elli allor, battendosi la zucca: «Qua giù m'hanno sommerso le lusinghe ond'io non ebbi mai la lingua stucca».
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Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», mi disse «il viso un poco più avante, sì che la faccia ben con l'occhio attinghe
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di quella sozza e scapigliata fante che là si graffia con l'unghie merdose, e or s'accoscia e ora è in piedi stante.
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Taide è, la puttana che rispuose al drudo suo quando disse "Ho io grazie grandi apo te?": "Anzi maravigliose!".
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E quinci sien le nostre viste sazie». |
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Commento |
Il Canto apre la seconda parte della I Cantica, che essendo formata da trentaquattro Canti si può dividere in due gruppi di diciassette dedicati rispettivamente ad alto e basso Inferno. Qui inizia la descrizione delle Malebolge, che occuperà lo spazio maggiore in termini di Canti (ben tredici sul totale, quasi il quaranta per cento) dal momento che questo luogo è diviso in dieci zone distinte in cui sono puniti altrettanti peccati. Dopo l'ampia descrizione iniziale dell'VIII Cerchio, le cui Bolge sono paragonate con preziosa similitudine ai fossati che cingono i castelli tardomedievali, Dante ci mostra le prime due Bolge che ospitano, rispettivamente, ruffiani e seduttori di donne (la I) e adulatori (la II). Il comune denominatore delle due zone è il carattere particolarmente ignominioso della pena cui sono sottoposti i dannati: ruffiani e seduttori camminano nudi e percossi sul fondoschiena da demoni cornuti armati di fruste, formando due schiere che procedono in direzioni opposte (i ruffiani vicino all'argine esterno, i seduttori vicino a quello interno), mentre gli adulatori sono immersi nello sterco e si colpiscono con le loro stesse mani.
Ruffiani e seduttori sono fraudolenti perché hanno raggirato con l'inganno delle donne, inducendole a soddisfare le voglie altrui (i primi) o le proprie (i secondi). In questo luogo ci venimmo a trovare, scesi dal dorso di Gerione; e Virgilio si diresse verso sinistra, e io mi avviai dietro di lui. Il loro peccato è dunque ben più grave di quello di eccesso dei lussuriosi, che si sono semplicemente abbandonati all'istinto del piacere, e vengono sferzati dai diavoli in modo simile forse a quanto accadeva nel Medioevo alle prostitute e ai loro sfruttatori. |