Riassunto |
Il canto ventesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella quarta bolgia dell'ottavo cerchio, ove sono puniti gli indovini e i maghi; siamo all'alba del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.
Dante, dopo una descrizione generale, indica tra i peccatori, attraverso le parole di Virgilio, cinque indovini antichi (quattro dei quali mitologici) e tre moderni. Durante la presentazione dell'indovina Manto c'è una lunga digressione sulle origini di Mantova. Il Canto è interamente dedicato agli indovini della IV Bolgia ed è strutturalmente diviso in tre parti, dedicate rispettivamente alla presentazione di alcuni antichi indovini (Anfiarao, Tiresia, Arunte, Manto), all'ampia parentesi sulle mitiche origini di Mantova e alla presentazione di altri indovini (Euripilo, Michele Scotto, Guido Bonatti, Asdente). Il tema trattato è importante, poiché maghi e indovini si sono macchiati di un grave peccato di presunzione intellettuale con la loro folle pretesa di antivedere il futuro, cosa che è consentita solo a Dio e a nessuna creatura mortale: la loro pena è particolarmente crudele e dal chiaro contrappasso, dal momento che hanno la testa rivoltata all'indietro e sono costretti a camminare a ritroso per aver voluto vedere troppo avanti. La condanna da parte di Dante è netta, in quanto essi sfruttarono le arti divinatorie per trarne vantaggio personale e quindi sono degli imbroglioni; quanto agli indovini contemporanei che praticavano l'astrologia, va detto che il poeta non condanna questa scienza in quanto tale dal momento che la dottrina cristiana ammetteva gli influssi astrali, ma solo coloro che se ne servono per fare predizioni sugli eventi futuri. La sua reazione di fronte all'orribile spettacolo della Bolgia è di disperazione e pianto, soprattutto nel vedere la figura umana stravolta, ma Virgilio lo rimprovera duramente e lo ammonisce che l'unica pietà ammessa nell'Inferno è quella ben morta. |
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Parafrasi |
Di nova pena mi conven far versi e dar matera al ventesimo canto de la prima canzon ch'è d'i sommersi. |
Devo ora scrivere versi intorno ad una pena mai prima vista e fornire argomento al ventesimo canto della prima cantica, che è quella dei dannati sprofondati (nell’inferno). |
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Io era già disposto tutto quanto a riguardar ne lo scoperto fondo, che si bagnava d'angoscioso pianto; |
Io ero già del tutto pronto a scrutare nel fondo visibile (della bolgia), che era bagnato da lagrime d’angoscia; |
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e vidi gente per lo vallon tondo venir, tacendo e lagrimando, al passo che fanno le letane in questo mondo. |
e notai una folla che avanzava nella gran valle circolare, silenziosa e piangente, col passo che tengono nel nostro mondo le processioni. |
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Come 'l viso mi scese in lor più basso, mirabilmente apparve esser travolto ciascun tra 'l mento e 'l principio del casso; |
Quando il mio sguardo scese più in basso su di loro, ognuno mi apparve essere rivolto all’indietro in modo mostruoso tra il mento e l’inizio del petto; |
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ché da le reni era tornato 'l volto, e in dietro venir li convenia, perché 'l veder dinanzi era lor tolto. |
poiché il viso era girato verso le reni, e dovevano camminare all’indietro, in quanto davanti la vista era loro preclusa. |
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Forse per forza già di parlasia si travolse così alcun del tutto; ma io nol vidi, né credo che sia. |
Forse già qualcuno si stravolse così completamente a causa di una paralisi; ma io non lo vidi mai, né credo che ciò avvenga. |
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Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto di tua lezione, or pensa per te stesso com'io potea tener lo viso asciutto,
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Parafrasi: |
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quando la nostra imagine di presso vidi sì torta, che 'l pianto de li occhi le natiche bagnava per lo fesso.
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Parafrasi: |
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Certo io piangea, poggiato a un de' rocchi del duro scoglio, sì che la mia scorta mi disse: «Ancor se' tu de li altri sciocchi?
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Parafrasi: |
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Qui vive la pietà quand'è ben morta; chi è più scellerato che colui che al giudicio divin passion comporta?
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Parafrasi: |
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Drizza la testa, drizza, e vedi a cui s'aperse a li occhi d'i Teban la terra; per ch'ei gridavan tutti: "Dove rui,
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Parafrasi: |
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Anfiarao? perché lasci la guerra?". E non restò di ruinare a valle fino a Minòs che ciascheduno afferra.
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Parafrasi: |
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Mira c'ha fatto petto de le spalle: perché volle veder troppo davante, di retro guarda e fa retroso calle.
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Parafrasi: |
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Vedi Tiresia, che mutò sembiante quando di maschio femmina divenne cangiandosi le membra tutte quante;
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Parafrasi: |
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e prima, poi, ribatter li convenne li duo serpenti avvolti, con la verga, che riavesse le maschili penne.
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Parafrasi: |
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Aronta è quel ch'al ventre li s'atterga, che ne' monti di Luni, dove ronca lo Carrarese che di sotto alberga,
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Parafrasi: |
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ebbe tra ' bianchi marmi la spelonca per sua dimora; onde a guardar le stelle e 'l mar no li era la veduta tronca.
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Parafrasi: |
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E quella che ricuopre le mammelle, che tu non vedi, con le trecce sciolte, e ha di là ogne pilosa pelle,
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Parafrasi: |
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Manto fu, che cercò per terre molte; poscia si puose là dove nacqu'io; onde un poco mi piace che m'ascolte.
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Parafrasi: |
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Poscia che 'l padre suo di vita uscìo, e venne serva la città di Baco, questa gran tempo per lo mondo gio.
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Parafrasi: |
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Suso in Italia bella giace un laco, a piè de l'Alpe che serra Lamagna sovra Tiralli, c'ha nome Benaco.
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Parafrasi: |
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Per mille fonti, credo, e più si bagna tra Garda e Val Camonica e Pennino de l'acqua che nel detto laco stagna.
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Loco è nel mezzo là dove 'l trentino pastore e quel di Brescia e 'l veronese segnar poria, s'e' fesse quel cammino.
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Siede Peschiera, bello e forte arnese da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, ove la riva 'ntorno più discese.
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Parafrasi: |
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Ivi convien che tutto quanto caschi ciò che 'n grembo a Benaco star non può, e fassi fiume giù per verdi paschi.
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Tosto che l'acqua a correr mette co, non più Benaco, ma Mencio si chiama fino a Governol, dove cade in Po.
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Non molto ha corso, ch'el trova una lama, ne la qual si distende e la 'mpaluda; e suol di state talor essere grama.
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Quindi passando la vergine cruda vide terra, nel mezzo del pantano, sanza coltura e d'abitanti nuda.
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Parafrasi: |
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Quindi passando la vergine cruda vide terra, nel mezzo del pantano, sanza coltura e d'abitanti nuda.
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Li uomini poi che 'ntorno erano sparti s'accolsero a quel loco, ch'era forte per lo pantan ch'avea da tutte parti.
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Parafrasi: |
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Fer la città sovra quell'ossa morte; e per colei che 'l loco prima elesse, Mantua l'appellar sanz'altra sorte.
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Già fuor le genti sue dentro più spesse, prima che la mattia da Casalodi da Pinamonte inganno ricevesse.
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Però t'assenno che, se tu mai odi originar la mia terra altrimenti, la verità nulla menzogna frodi».
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E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti mi son sì certi e prendon sì mia fede, che li altri mi sarien carboni spenti.
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Ma dimmi, de la gente che procede, se tu ne vedi alcun degno di nota; ché solo a ciò la mia mente rifiede».
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Parafrasi: |
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Allor mi disse: «Quel che da la gota porge la barba in su le spalle brune, fu - quando Grecia fu di maschi vòta,
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sì ch'a pena rimaser per le cune - augure, e diede 'l punto con Calcanta in Aulide a tagliar la prima fune.
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Euripilo ebbe nome, e così 'l canta l'alta mia tragedìa in alcun loco: ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
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Quell'altro che ne' fianchi è così poco, Michele Scotto fu, che veramente de le magiche frode seppe 'l gioco.
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Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, ch'avere inteso al cuoio e a lo spago ora vorrebbe, ma tardi si pente.
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Vedi le triste che lasciaron l'ago, la spuola e 'l fuso, e fecersi 'ndivine; fecer malie con erbe e con imago.
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Ma vienne omai, ché già tiene 'l confine d'amendue li emisperi e tocca l'onda sotto Sobilia Caino e le spine;
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e già iernotte fu la luna tonda: ben ten de' ricordar, ché non ti nocque alcuna volta per la selva fonda».
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Sì mi parlava, e andavamo introcque.
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Commento |
Il Canto è interamente dedicato agli indovini della IV Bolgia ed è strutturalmente diviso in tre parti, dedicate rispettivamente alla presentazione di alcuni antichi indovini (Anfiarao, Tiresia, Arunte, Manto), all'ampia parentesi sulle mitiche origini di Mantova e alla presentazione di altri indovini (Euripilo, Michele Scotto, Guido Bonatti, Asdente). Il tema trattato è importante, poiché maghi e indovini si sono macchiati di un grave peccato di presunzione intellettuale con la loro folle pretesa di antivedere il futuro, cosa che è consentita solo a Dio e a nessuna creatura mortale: la loro pena è particolarmente crudele e dal chiaro contrappasso, dal momento che hanno la testa rivoltata all'indietro e sono costretti a camminare a ritroso per aver voluto vedere troppo avanti. La condanna da parte di Dante è netta, in quanto essi sfruttarono le arti divinatorie per trarne vantaggio personale e quindi sono degli imbroglioni; quanto agli indovini contemporanei che praticavano l'astrologia, va detto che il poeta non condanna questa scienza in quanto tale dal momento che la dottrina cristiana ammetteva gli influssi astrali, ma solo coloro che se ne servono per fare predizioni sugli eventi futuri. La sua reazione di fronte all'orribile spettacolo della Bolgia è di disperazione e pianto, soprattutto nel vedere la figura umana stravolta, ma Virgilio lo rimprovera duramente e lo ammonisce che l'unica pietà ammessa nell'Inferno è quella ben morta. Il rimbrotto del maestro è significativo, soprattutto se si ammette che il peccato che ha condotto Dante nella selva potrebbe essere di natura intellettuale, legato alla folle pretesa di arrivare alla verità solo attraverso la filosofia e la ragione, che qui è rappresentata proprio da Virgilio.
È il poeta latino a presentare al discepolo una serie di indovini, dapprima per sua iniziativa e poi su richiesta dello stesso Dante. |