Riassunto |
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Il canto ventiduesimo dell'Inferno di Dante Alighieri si svolge nella quinta bolgia dell'ottavo cerchio, ove sono puniti i malversatori; siamo nel mattino del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.
È strettamente legato al precedente, del quale costituisce il "secondo atto" della commedia dei diavoli della bolgia dei barattieri.
Con la scorta dei dieci diavoli Virgilio e Dante procedono lungo l'argine cercando di riconoscere qualche barattiere. Il diavolo Graffiacane afferra con l'uncino un peccatore emerso per cercare ristoro dalla pece e lo tira su, nero come una lontra: mentre i diavoli se lo contendono, Ciampolo di Navarra cerca di prendere tempo parlando di sé a Dante e indicandogli altri due compagni di pena, frate Gomita di Gallura e Michele Zanche di Logudoro. Infine, messo alle strette dai suoi aguzzini, Ciampolo propone un patto: se si allontaneranno un po', lui farà emergere sette dei suoi compagni richiamandoli con un fischio convenzionale e i diavoli potranno esercitare i loro uncini anche su di loro. Dopo qualche esitazione e minaccia, il navarrese è lasciato libero e ne approfitta per rituffarsi e scomparire nella pece: i diavoli Alichino e Calcabrina, non riuscendo ad afferrarlo, si azzuffano fra di loro e finiscono anch'essi nella pece. Mentre Barbariccia e altri diavoli cercano di ripescare i loro compagni, Dante e Virgilio si allontanano. |
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Parafrasi |
Io vidi già cavalier muover campo, e cominciare stormo e far lor mostra, e talvolta partir per loro scampo; |
Io vidi un tempo cavalieri mettersi in marcia, e iniziare l’assalto e fare evoluzioni durante le parate, e a volte ritirarsi per mettersi in salvo; |
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corridor vidi per la terra vostra, o Aretini, e vidi gir gualdane, fedir torneamenti e correr giostra; |
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vidi soldati a cavallo sul vostro suolo, o Aretini, e vidi fare incursioni devastatrici, scontrarsi le squadre nei tornei e cimentarsi i singoli nei duelli; |
quando con trombe, e quando con campane, con tamburi e con cenni di castella, e con cose nostrali e con istrane; |
a volte con trombe, e a volte con campane, con tamburi e con segnali dalle fortezze, e con strumenti nostri e forestieri; |
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né già con sì diversa cennamella cavalier vidi muover né pedoni, né nave a segno di terra o di stella. |
ma certamente mai con un così insolito zufolo vidi partire cavalieri o fanti, o nave ad un segnale dato dalla riva o indicato da una costellazione. |
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Noi andavam con li diece demoni. Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni. |
Noi procedevamo con i dieci diavoli: ah, paurosa compagnia! ma in chiesa si sta con i santi, e nell’osteria con i furfanti. |
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Pur a la pegola era la mia 'ntesa, per veder de la bolgia ogne contegno e de la gente ch'entro v'era incesa. |
La mia attenzione era rivolta costantemente alla pece, per osservare ogni aspetto della bolgia e della moltitudine che in essa era bruciata. |
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Come i dalfini, quando fanno segno a' marinar con l'arco de la schiena, che s'argomentin di campar lor legno,
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Parafrasi: |
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talor così, ad alleggiar la pena, mostrav'alcun de' peccatori il dosso e nascondea in men che non balena.
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Parafrasi: |
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E come a l'orlo de l'acqua d'un fosso stanno i ranocchi pur col muso fuori, sì che celano i piedi e l'altro grosso,
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Parafrasi: |
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sì stavan d'ogne parte i peccatori; ma come s'appressava Barbariccia, così si ritraén sotto i bollori.
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Parafrasi: |
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I' vidi, e anco il cor me n'accapriccia, uno aspettar così, com'elli 'ncontra ch'una rana rimane e l'altra spiccia;
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Parafrasi: |
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e Graffiacan, che li era più di contra, li arruncigliò le 'mpegolate chiome e trassel sù, che mi parve una lontra.
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Parafrasi: |
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I' sapea già di tutti quanti 'l nome, sì li notai quando fuorono eletti, e poi ch'e' si chiamaro, attesi come.
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Parafrasi: |
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«O Rubicante, fa che tu li metti li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!», gridavan tutti insieme i maladetti.
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Parafrasi: |
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E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi, che tu sappi chi è lo sciagurato venuto a man de li avversari suoi».
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Parafrasi: |
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Lo duca mio li s'accostò allato; domandollo ond'ei fosse, e quei rispuose: «I' fui del regno di Navarra nato.
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Parafrasi: |
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E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi, che tu sappi chi è lo sciagurato venuto a man de li avversari suoi».
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Parafrasi: |
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Lo duca mio li s'accostò allato; domandollo ond'ei fosse, e quei rispuose: «I' fui del regno di Navarra nato.
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Parafrasi: |
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Mia madre a servo d'un segnor mi puose, che m'avea generato d'un ribaldo, distruggitor di sé e di sue cose.
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Parafrasi: |
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Poi fui famiglia del buon re Tebaldo: quivi mi misi a far baratteria; di ch'io rendo ragione in questo caldo».
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Parafrasi: |
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E Ciriatto, a cui di bocca uscia d'ogne parte una sanna come a porco, li fé sentir come l'una sdruscia.
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Parafrasi: |
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Tra male gatte era venuto 'l sorco; ma Barbariccia il chiuse con le braccia, e disse: «State in là, mentr'io lo 'nforco».
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Parafrasi: |
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E al maestro mio volse la faccia: «Domanda», disse, «ancor, se più disii saper da lui, prima ch'altri 'l disfaccia»
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Parafrasi: |
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Lo duca dunque: «Or dì : de li altri rii conosci tu alcun che sia latino sotto la pece?». E quelli: «I' mi partii,
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Parafrasi: |
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poco è, da un che fu di là vicino. Così foss'io ancor con lui coperto, ch'i' non temerei unghia né uncino!».
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Parafrasi: |
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E Libicocco «Troppo avem sofferto», disse; e preseli 'l braccio col runciglio, sì che, stracciando, ne portò un lacerto.
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Parafrasi: |
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Draghignazzo anco i volle dar di piglio giuso a le gambe; onde 'l decurio loro si volse intorno intorno con mal piglio.
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Parafrasi: |
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Quand'elli un poco rappaciati fuoro, a lui, ch'ancor mirava sua ferita, domandò 'l duca mio sanza dimoro:
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Parafrasi: |
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«Chi fu colui da cui mala partita di' che facesti per venire a proda?». Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita,
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Parafrasi: |
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quel di Gallura, vasel d'ogne froda,
ch'ebbe i nemici di suo donno in mano, e fé sì lor, che ciascun se ne loda.
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Parafrasi: |
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Danar si tolse, e lasciolli di piano, sì com'e' dice; e ne li altri offici anche barattier fu non picciol, ma sovrano.
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Parafrasi: |
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Usa con esso donno Michel Zanche di Logodoro; e a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche.
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Parafrasi: |
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Omè, vedete l'altro che digrigna: i' direi anche, ma i' temo ch'ello non s'apparecchi a grattarmi la tigna».
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Parafrasi: |
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E 'l gran proposto, vòlto a Farfarello che stralunava li occhi per fedire, disse: «Fatti 'n costà, malvagio uccello!».
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Parafrasi: |
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«Se voi volete vedere o udire», ricominciò lo spaurato appresso «Toschi o Lombardi, io ne farò venire;
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Parafrasi: |
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ma stieno i Malebranche un poco in cesso, sì ch'ei non teman de le lor vendette; e io, seggendo in questo loco stesso,
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Parafrasi: |
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per un ch'io son, ne farò venir sette quand'io suffolerò, com'è nostro uso di fare allor che fori alcun si mette».
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Parafrasi: |
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Cagnazzo a cotal motto levò 'l muso, crollando 'l capo, e disse: «Odi malizia ch'elli ha pensata per gittarsi giuso!».
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Parafrasi: |
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Ond'ei, ch'avea lacciuoli a gran divizia, rispuose: «Malizioso son io troppo, quand'io procuro a' mia maggior trestizia».
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Parafrasi: |
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Alichin non si tenne e, di rintoppo a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali, io non ti verrò dietro di gualoppo,
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Parafrasi: |
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ma batterò sovra la pece l'ali. Lascisi 'l collo, e sia la ripa scudo, a veder se tu sol più di noi vali».
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Parafrasi: |
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O tu che leggi, udirai nuovo ludo: ciascun da l'altra costa li occhi volse; quel prima, ch'a ciò fare era più crudo.
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Parafrasi: |
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Lo Navarrese ben suo tempo colse; fermò le piante a terra, e in un punto saltò e dal proposto lor si sciolse.
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Di che ciascun di colpa fu compunto, ma quei più che cagion fu del difetto; però si mosse e gridò: «Tu se' giunto!».
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Parafrasi: |
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Ma poco i valse: ché l'ali al sospetto non potero avanzar: quelli andò sotto, e quei drizzò volando suso il petto:
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Parafrasi: |
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non altrimenti l'anitra di botto, quando 'l falcon s'appressa, giù s'attuffa, ed ei ritorna sù crucciato e rotto.
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Parafrasi: |
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Irato Calcabrina de la buffa, volando dietro li tenne, invaghito che quei campasse per aver la zuffa;
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Parafrasi: |
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e come 'l barattier fu disparito, così volse li artigli al suo compagno, e fu con lui sopra 'l fosso ghermito.
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Parafrasi: |
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Ma l'altro fu bene sparvier grifagno ad artigliar ben lui, e amendue cadder nel mezzo del bogliente stagno.
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Parafrasi: |
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Lo caldo sghermitor sùbito fue; ma però di levarsi era neente, sì avieno inviscate l'ali sue.
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Parafrasi: |
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Barbariccia, con li altri suoi dolente, quattro ne fé volar da l'altra costa con tutt'i raffi, e assai prestamente
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Parafrasi: |
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di qua, di là discesero a la posta; porser li uncini verso li 'mpaniati, ch'eran già cotti dentro da la crosta;
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Parafrasi: |
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e noi lasciammo lor così 'mpacciati.
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Commento |
Il Canto è il seguito ideale della «commedia degli inganni» iniziata in quello precedente, che si arricchisce in questo secondo episodio di un nuovo protagonista (è Ciampòlo di Navarra, il barattiere che finisce tristemente tra le grinfie dei Malebranche e riesce a sfuggire loro con un inganno). In effetti proprio l'imbroglio è il tema dominante nella descrizione della V Bolgia, il che non stupisce se si pensa che i barattieri erano in fondo dei truffatori che approfittarono del loro ruolo pubblico per arraffare quattrini: si è discusso se tra loro Dante includa anche i semplici truffatori che non ricoprirono magistrature, ma tutti quelli nominati nei Canti XXI-XXII sono legati a qualche ufficio pubblico e del resto la baratteria era un delitto strettamente connesso con le cariche comunali (Dante stesso fu accusato di ciò dai Guelfi Neri nel 1302). Nell'episodio precedente era stato Malacoda a ingannare Virgilio, mentre qui sarà l'astuto Ciampòlo a farsi beffe dei Malebranche per scampare alle loro angherie; a loro volta Dante e Virgilio approfitteranno dell'accaduto per allontanarsi, riuscendo poi (all'inizio del Canto XXIII) a gettarsi nella Bolgia seguente dove i diavoli per decreto divino non possono inoltrarsi.
I versi iniziali sono un commento allo sconcio segnale con cui Barbariccia ha dato inizio alla marcia, che viene definito diversa cennamella (era uno strumento a canna, usato per i segnali militari) ed è ironicamente paragonato alle ben diverse segnalazioni che si usano in campo bellico. La terminologia militare è un preciso riferimento alle battaglie cui Dante aveva preso parte (già in XXI, 94-96 c'era un accenno all'assedio di Caprona) e indica che l'esercito dei Malebranche è sghangherato e grottesco, cosa che sarà dimostrata dal modo ridicolo con cui si lasceranno beffare. L'esordio è anche una parentesi stilisticamente elevata, che apre un Canto dominato invece da un linguaggio crudo, dai suoni aspri e dall'atmosfera violentemente comico-realistica. |